Nei roghi finirono migliaia di opere letterarie e artistiche di autori che secondo la rozza e incolta ideologia del nuovo regime avevano "corrotto" e "giudaizzato" una presunta "cultura tedesca" pura: opere di autori lontani nel tempo, come Heinrich Heine (1797-1856) e Karl Marx (1818-1883), ma soprattutto dei grandi intellettuali del periodo weimariano: gli scrittori Thomas Mann, Heinrich Mann, Bertolt Brecht, Alfred Döblin, Joseph Roth, i filosofi Ernst Cassirer, Georg Simmel, Theodor W. Adorno, Walter Benjamin, Herbert Marcuse, Max Horkheimer, Ernst Bloch, Ludwig Wittgenstein, Max Scheler, Hannah Arendt, Edith Stein, Edmund Husserl, Max Weber, Erich Fromm, Martin Buber, Karl Löwith, l'architetto Walter Gropius, i pittori Paul Klee, Wassili Kandinsky e Piet Mondrian, gli scienziati Albert Einstein e Sigmund Freud, i musicisti Arnold Schönberg e Alban Berg, i registi cinematografici Georg Pabst, Fritz Lang e Franz Murnau e centinaia di altri artisti e pensatori che avevano gettato le basi intellettuali dell'intera cultura del Novecento.
Diventata "Judenrein" ("depurata dagli ebrei") e depurata da quella che i nazisti ritenevano essere l'"influenza giudaica" sull'"intellettualismo esagerato", la Germania hitleriana divenne, dopo il 1933, un vero e proprio deserto culturale. I pochissimi intellettuali che, per una iniziale simpatia verso il nuovo regime, restarono in Germania (è il caso di Martin Heidegger, uno dei più importanti filosofi del Novecento), videro presto spegnersi l'iniziale simpatia per il nazismo e dovettero rassegnarsi ad una cieca neutralità, chiudendo occhi e orecchie per non vedere e non sentire quanto accadeva intorno a loro. I migliori tra gli intellettuali tedeschi se ne andarono dal Paese, spesso precipitosamente, talvolta costretti (è il caso di Einstein e di Freud). Ebbe inizio, nel 1933, il più massiccio esodo intellettuale che la storia moderna abbia conosciuto: una vera e propria diaspora dell'intelligenza tedesca.